25 anni fa l'eccidio di Srebenica. Una tragica macchia sull'Europa e sulle istituzioni mondiali

di redazione 11/07/2020 CULTURA E SOCIETÀ
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In Bosnia-Erzegovina alcune centinaia di persone si sono riunite al Cimitero Memoriale di Potocari, alle porte di Srebrenica, per commemorare le oltre ottomila vittime del genocidio compiuto 25 anni fa dalle truppe serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladic. 

L'11 luglio 1995, 8.372 musulmani sono morti per mano delle milizie serbo-bosniache in un'operazione di pulizia etnica tra le più sanguinose nell'Europa del Dopoguerra. Nadja Mujćić ha perso il marito e il fratello, ma solo il secondo le è stato riconsegnato "in una busta di plastica". Azra Ibrahimović aveva solo 13 anni e non ha più rivisto il padre e il fratello appena 16enne. Bekir Halilović, invece, di suo papà non ricorda niente, dato che era appena nato. Lo ha rivisto 8 anni dopo, quando hanno ritrovato il suo corpo

La commemorazione quest'anno si svolge nel rispetto delle misure restrittive e di sicurezza imposte per la pandemia del covid-19. Oltre ai familiari delle nove vittime i cui resti vengono tumulati oggi, è ammesso un numero limitato di persone per evitare il contagio. Si tratta delle vittime del massacro i cui resti sono stati identificati negli ultimi 12 mesi.

Alle cerimonie alcune autorità bosniache ed i rappresentanti del corpo diplomatico, mentre le personalità che dovevano essere oggi a Srebrenica hanno inviato messaggi video.

Al rito funebre di sepoltura delle nove vittime, le cui spoglie sono state ritrovate in una delle 70 fosse comuni, solo i familiari. La vittima più giovane tra quelle che verranno inumate era Salko Ibisevic che nel 1995 aveva 23 anni, mentre il più anziano è il settantenne Hasan Pezic.

Srebrenica, una macchia nella storia d'Europa
Il genocidio di ottomila musulmani pesa ancora sulle coscienze
Venticinque anni fa in questi giorni l'Europa visse una delle pagine più nere della sua storia recente. Fra l'11 e il 18 luglio 1995 venne infatti perpetrato il genocidio di Srebrenica, una delle atrocità più sconvolgenti della guerra in Bosnia Erzegovina (1992-1995), che costò la vita a 8.300 persone secondo le cifre ufficiali, mentre secondo altre fonti locali gli scomparsi sarebbero più di diecimila. In quei giorni le truppe serbo-bosniache, agli ordini del generale Ratko Mladic, entrarono nella città di Srebrenica e massacrarono la popolazione musulmana. Quando i serbo-bosniaci irruppero in città, oltre 40.000 abitanti fuggirono verso la base dell'Onu di Potocari, a nord del centro urbano. Circa 7.000 persone riuscirono a entrare nell'area della base, presidiata da un centinaio di caschi blu olandesi che avrebbero dovuto difendere la città, dichiarata dall'Onu zona protetta. Gli altri si accamparono fuori.

All'arrivo dei serbo-bosniaci i caschi blu non intervennero, mentre Mladic fece separare gli uomini da donne e bambini, che furono deportati. Gli uomini - secondo le testimonianze di sopravvissuti e secondo l'atto di accusa del Tribunale penale internazionale (Tpi) per la ex Jugoslavia che con una sentenza dell'aprile 2004 ha stabilito per primo che fu genocidio - furono passati per le armi.

I corpi degli uccisi nelle esecuzioni di massa vennero sotterrati in fosse comuni. A migliaia fuggirono nelle campagne circostanti e le milizie serbo-bosniache aprirono una gigantesca caccia all'uomo e ne catturarono migliaia: in gruppi di 200-300 furono messi in fila e fucilati.

"In quattro ore il 16 luglio ne abbiamo uccisi 1.200'', racconterà anni dopo davanti al Tpi Drazen Erdemovic. "Ho visto decine di uomini sgozzati in un campo di grano - ha raccontato Abid Efendic - ho visto teste mozzate, ragazze violentate da decine di soldati". L'allora leader politico dei serbi di Bosnia Radovan Karadzic (oggi in carcere all'Aja condannato all'ergastolo) e il capo militare Ratko Mladic (in attesa all'Aja del processo d'appello dopo una condanna all'ergastolo in primo grado) dopo il massacro cantarono vittoria: con Srebrenica i serbi avevano conquistato oltre il 60% della Bosnia, ma quella strage convincerà l'allora presidente americano Bill Clinton a intervenire dopo che per oltre tre anni l'Europa aveva guardato distaccata e divisa la mattanza alle porte di casa.

In pochi mesi Washington riesce a portare al tavolo di Dayton (Usa) musulmani, croati e serbi, ma il risultato si limitò a sancire la divisione etnica creando un paese diviso in due entità, la Repubblica Srpska, che comprende anche Srebrenica, e la Federazione croato-musulmana.

La tragedia ha pesato a lungo e continua a pesare sulla coscienza della comunità internazionale. Per Srebrenica, nell'aprile 2002 il governo olandese di Wim Kok decise di dimettersi dopo che l'Istituto per la documentazione di guerra riconobbe la responsabilità dei politici e dei caschi blu olandesi nel non aver saputo impedire il massacro.

Il comando olandese dirà poi d'aver chiesto l'intervento degli aerei Nato a difesa della città. Nell'ottobre del 1999 l'allora segretario dell'Onu Kofi Annan ammise le responsabilità: "La tragedia di Srebrenica peserà sempre sulla nostra storia".

Il Tribunale internazionale dell’Aja ha processato 20 persone per la mattanza compiuta a Srebrenica. Di queste, 15 sono state incriminate per genocidio, tra cui Radovan Karadžić, poeta incompreso e psichiatra di Pale a capo dell’allora Repubblica serba di Bosnia, condannato all’ergastolo. Sembra tuttavia che né le sentenze più severe, né il trascorrere del tempo possano alleviare il dolore di chi ha perso qualcuno in una delle più efferate operazioni di pulizia etnica avvenute in Europa. La stessa Europa che, all’epoca dei fatti, era certa di aver imparato dagli errori commessi durante la Seconda Guerra Mondiale.

Tra chi non riesce a mettersi il cuore in pace c’è Bekir Halilović. Nato a Srebrenica nel gennaio del 1994, la sua vita è stata per sempre cambiata da fatti di cui non può avere memoria. “La mia famiglia è considerata fortunata perché il corpo di mio padre Halid ci è stato riconsegnato al 100% ed è un lusso di pochi”. Per chi ha mosso i primi passi della sua esistenza su una terra dilaniata dal conflitto, perfino avere dei ricordi materiali da contemplare è un privilegio da non sottovalutare. Così, anche una fotografia sgranata può trasformarsi in una reliquia da custodire con cura. “La guerra ci ha portato via ogni cosa. Di mio papà ho soltanto due foto, in una è quasi irriconoscibile. Mi ci vuole immaginazione per figurarmi il suo volto, le sue espressioni. È strano sentire tanto la mancanza di qualcuno che non si è conosciuto per davvero. E da tutta la vita sopporto la frustrazione di non poter ricordare cose di cui pago le conseguenze”.

Quel che invece Bekir ricorda bene è il giorno in cui la Commissione per la ricerca persone scomparse ha chiamato la sua famiglia per il test del Dna. “Ci hanno mostrato il suo portasigarette di metallo e le foto dei vestiti che aveva indosso. La cosa assurda è che mia madre ha riconosciuto solo le mutande. La maglietta e i jeans non erano suoi. Probabilmente lo avevano costretto a togliere la divisa e a mettere altri vestiti”. Secondo Bekir, con il passare degli anni la sua voragine interiore si dilata invece di restringersi. “Sento che finché vivrò mi chiederò come sarebbe stato fare quattro chiacchiere con lui. Chiedere dettagli della sua personalità a mia madre la farebbe stare male. Ma da alcuni racconti di amici so che era un uomo timido, gentile. Sono descrizioni che non mi possono bastare. E sono convinto che se avessi conosciuto lui, conoscerei meglio anche me stesso”.


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